QUANTI ANTIBIOTICI USANO GLI ITALIANI?

Il largo impiego degli antibiotici ha rivoluzionato l’approccio al trattamento di numerose malattie infettive, permettendo un netto miglioramento nell’epidemiologia delle stesse.
La comparsa della resistenza agli antibiotica rischia però di vanificare le conquiste effettuate dalla metà del XX secolo.
Come viene a svilupparsi tale resistenza? Le situazioni principali sono due: la resistenza naturale e quella acquisita. Nel primo caso ceppi batterici possono dimostrarsi naturalmente resistenti a una classe di antibiotici, ciò deriva da specifiche informazioni geniche che si traducono in meccanismi molto complessi di inibizione del principio attivo del farmaco.
Ovviamente, le informazioni contenute nei geni possono mutare. A ciò è collegata la seconda tipologia di resistenza, quella adattativa. Ceppi batterici sottoposti ad una spinta evolutiva, come l’azione antibiotica, possono essere indotti all’acquisizione di casuali e allo stesso tempo specifiche mutazioni, in grado di conferire resistenza. D’altronde, i batteri si comportano come qualsiasi altra tipologia di specie animale, che di fronte a una spinta evolutiva si estingue o si evolve. La caratteristica determinante in questo caso sta nella velocità di riproduzione dei ceppi batterici, dunque il processo evolutivo risulta nettamente accelerato rispetto a quello animale.
Mettendo alla prova i batteri con cui naturalmente veniamo a contatto, li abbiamo spinti all’acquisizione di resistenza anche multiple, per un ampio spettro di antibiotici. Una delle soluzioni alla problematica, oltre la necessità di ricercare nuove tipologie di antibiotici, consiste nella ottimizzazione nell’impiego dei farmaci. Impiegare antibiotici solamente quando ve ne è davvero il bisogno potrebbe diminuire la spinta evolutiva che esercitiamo nei confronti dei ceppi non ancora resistenti. 

Dati diffusi dal rapporto AIFA 2020, pubblicati a marzo del 2022, mostrano come il consumo di antibiotici in Italia sia diminuito notevolmente. Nel 2020 infatti si è riscontrata una flessione del 18,2% rispetto l’anno precedente. Tali numeri hanno permesso di centrare gli obiettivi prefissati dal Ministero della Sanità nel Piano Nazionale per il contrasto all’antimicrobico-resistenza, che prevedeva una riduzione nell’uso degli antibiotici superiore al 10% nel periodo 2016-2020.
Tuttavia, c’è da contestualizzare il dato, sia sul piano temporale che geografico. Il 2020 è stato un anno che ha visto una riduzione delle malattie infettive di matrice batterica, visto il vasto impiego di mascherine per la lotta alla pandemia da Sars-CoV2. I prossimi anni saranno sicuramente determinanti per valutare un vero cambiamento nella cultura della prevenzione e del trattamento alle malattie infettive. Altro appunto necessario consiste nel calare i dati nel contesto europeo. L’Italia risulta avere un consumo di antibiotici ancora superiore la media UE, sia in ambito di consumo ospedaliero che territoriale, così come risultano più elevati i tassi di antibiotico resistenza riscontrati. Rilevazioni OCSE mostrano infatti la preoccupante crescita del dato che in Italia toccherà, nel 2030, il 32% in più di incidenza rispetto al paese occidentale con meno casi (Islanda). L’unica possibilità per evitare tale incremento è una riduzione e una maggiore consapevolezza nell’utilizzo degli antibiotici.

Comparso su Agenzia Eventi

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