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FACCIAMO CHIAREZZA SU DELTACRON

Il 7 gennaio, il virologo Leondios Kostrikis ha annunciato alla televisione locale che il suo gruppo di ricerca presso l’Università di Cipro a Nicosia aveva identificato diversi genomi SARS-CoV-2 che presentavano elementi sia della variante Delta che di Omicron.

La variante venne chiamata “Deltacron” e in un solo giorno, grazie all’interesse delle maggiori testate giornalistiche, divenne un caso internazionale.

La risposta della comunità scientifica è stata rapida. Molti specialisti hanno dichiarato, sia sui social che alla stampa, che le sequenze individuate e pubblicate dal gruppo di ricerca cipriota non indicavano una nuova variante e non erano il risultato della ricombinazione – la condivisione genetica di informazioni – tra virus, ma probabilmente il risultato di una contaminazione in laboratorio.
La disinformazione che è seguita, nonostante il rapido riconoscimento di un errore sperimentale, è stata decisamente allarmante, sintomo di una infodemia dilagante durante il periodo pandemico. Sono bastate appena 72 ore dalla pubblicazione delle sequenze su database aperti – rimosse poi dallo stesso Kostrikis – per generare una attenzione mediatica spasmodica. 

Fenomeni di ricombinazione, come quello erroneamente mostrato dal gruppo cipriota, non sono stati certo rari e irrilevanti nella storia evolutiva di questa tipologia di virus. Ricombinazioni simili possono accadere in modo del tutto naturale nel momento in cui una persona venga co-infettata da due diverse varianti, casistica assai rara ma non poi così improbabile in situazioni dove la circolazione virale sia molto elevata. Per certificare l’esistenza di varianti ibride non sono sufficienti singole casistiche sporadiche, le evidenze devono essere sostenute e dimostrate da più laboratori, possibilmente indipendenti.
Caso più recente è la rilevazione di una variante ibrida per opera di un laboratorio francese, risultati pubblicati in un preprint che sembrerebbero privi di errori di laboratorio, a differenza del caso precedente. Ciò vorrebbe dire che siamo certi dell’esistenza della nuova variante Deltacron, o “Deltamicron” come l’hanno chiamata i francesi? Assolutamente non lo siamo. Certamente questi dati appaiono più solidi, sostenuti da altre rilevazioni sporadiche di minor valore, ma si tratta pur sempre di un preprint, ciò vuol dire che la pubblicazione deve ancora essere sottoposta a una revisione accurata prima di essere considerata attendibile.

E’ importante chiarire, inoltre, che un evento di ricombinazione di questo tipo non implica nel modo più assoluto che la variante ricombinante combini le proprietà biologiche di delta ed omicron, ovvero alta trasmissibilità, evasione immunitaria e virulenza.
Lo scopo finale di un virus è sì l’alta trasmissibilità ma assolutamente non la morte del suo ospite, senza il quale non potrebbe eseguire le proprie funzioni biologiche. La direzione naturalmente più probabile è dunque che le nuove varianti siano più infettive e meno virulente (non dare manifestazioni patologiche), un po’ come già visto col passaggio da Delta a Omicron.

Comparso su Agenzia Eventi

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