L’uso di sostanze psichedeliche come trattamento per condizioni come la depressione rivoluzionerà l’assistenza sanitaria e rappresenterà con molta probabilità la più grande innovazione in psichiatria dagli anni ’50. Vi sono prove crescenti che le sostanze psichedeliche, in combinazione con la psicoterapia, possono essere utilizzate per curare malattie mentali. In quasi tutti i paesi del mondo però le droghe psichedeliche rimangono classificate come sostanze controllate, definite come prive di valore terapeutico e quindi con l’impossibilità di essere legalmente possedute o prescritte. Nonostante le complicazioni anche per la ricerca, l’ultimo decennio ha visto una rinascita in questo campo, con risultati promettenti in studi per disturbi come la depressione grave, l’ansia e il disturbo da stress post-traumatico.
Il gruppo del professor David Nutt dell’Imperial College di Londra ha avviato un nuovo studio per confrontare la terapia con psilocibina (l’ingrediente psicoattivo nei “funghi magici”) con un farmaco antidepressivo convenzionale, esplorando inoltre la terapia psichedelica per il disturbo ossessivo compulsivo, il dolore cronico e l’anoressia.
Il gruppo di ricerca attivo nel recente Centro per la Ricerca Psichedelica, lanciato nel 2019, ha mostrato come il cervello venga modificato dagli psichedelici e come i processi indotti mostrino effetti antidepressivi, anti-ansia e persino anti-dipendenza.
Ci sono una serie di diverse sostanze esplorate come potenziali ausili per la psicoterapia: psilocibina (funghi magici), LSD, DMT (ayahuasca). Non sono molto differenti come azione, agiscono tutte sul recettore cerebrale 2A e fondamentalmente desegregano il cervello, aumentano le connessioni in modo caotico e dose dipendente.
Farmaci come l’LSD e la psilocibina, assunti per via orale, mostrano un effetto che si accumula da 30 minuti a un’ora, quindi il cervello si adatta gradualmente alla stimolazione. La DMT ha una farmacocinetica differente, ha essenzialmente un impatto più rapido sul cervello, motivo per cui le persone trattate hanno immediatamente allucinazioni visive vivide.
Ci sono diverse sostanze psichedeliche, molte anche inaspettate come la salvia che agisce in una parte diversa del cervello, non è allucinogena ma distorce molto le nostre percezioni.
Una delle aree del cervello particolarmente colpite dagli psichedelici è un’area chiamata corteccia cingolata subgenua, molti studi sugli antidepressivi, sulla psicoterapia, sulla terapia elettroconvulsiva, hanno dimostrato che il miglioramento della depressione, anche se effetto placebo, comporta una ridotta attività in questa regione. I nuovi trattamenti terapeutici puntano dunque all’attivazione di recettori negativi della regione o recettori antagonisti di quelli ad azione positiva, in sintesi o si spegne l’area o si ostacola chi vuole accenderla.
Come tutti i processi terapeutico-farmaceutici è necessario approfondire una serie di paramentri, oltre la farmacodinamica già chiara, meccanismo d’azione delle sostanze sull’organismo, anche la farmacocinetica, cioè come l’organismo modifica il farmaco. Ancora, l’interazione con altri farmaci, in questo caso particolare con quelli impiegati nella psicoterapia. Nel 70% dei casi gli psicofarmaci non sono adatti al singolo paziente, in quanto hanno dei fattori farmacocinetici (vedi sopra) molto particolari, dunque devono essere considerati una grande quantita di farmaci per possibile interazione.
Come comprensibile la strada è piena di ostacoli ma certo è che stiamo riconsiderando profondamente l’impiego di queste sostanze per trattare condizioni assai complesse.
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Comparso su Agenzia Eventi