Nel febbraio del 2001 sulle riviste Science e Nature comparve, con grande clamore, una prima bozza del genoma umano. A sorpresa, il più grande progetto di ricerca del Novecento, HPG cioè Human Genome Project, era riuscito, in anticipo rispetto i tempi previsti, a sequenziare quasi 3 miliardi di nucleotidi alla base del nostro corredo cromosomico. Rimarrà sicuramente una delle più belle storie della scienza moderna, un traguardo che ha permesso la nascita della cosiddetta “Era della Genomica”.
L’idea venne lanciata su Science nel 1986 da Renato Dulbecco, Premio Nobel italiano per la Medicina nel 1975 per la scoperta dei meccanismi d’azione dei virus tumorali nelle cellule animali.
Nel 1990, su iniziativa di James Watson, uno dei padri del DNA, Premio Nobel nel 1962 per la scoperta della struttura a doppia elica, nacque il mega-consorzio internazionale, dal budget di 3 miliardi di dollari, con la partecipazione di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Giappone e Cina (non l’Italia). A capitanare gli sforzi di ricerca saranno inizialmente un ente pubblico statunitense, i National Institutes of Health (NIH), e un’azienda privata, la Celera Corporation fondata e diretta dal biochimico Craig Venter. A questi due gruppi si aggiunsero collaborazioni di altri enti in USA, Canada, Gran Bretagna e Nuova Zelanda.
Il dualismo pubblico-privato si rivelò una spinta propulsiva notevole, per le differenti vedute e il diverso metodo di approccio al sequenziamento nacque una sfida interna a chi sarebbe riuscito a raggiungere prima il traguardo. Il NIH decise di impiegare tecniche tradizionali di frammentazione del genoma con enzimi di restrizione, così da ottenere piccoli frammenti da studiare separatamente e da incollare come pezzi di un puzzle. Celera fece invece ricorso ad una metodica più innovativa chiamata shotgun sequencing, con una differente frammentazione (casuale) e soprattutto, tramite l’impiego di computer innovativi, una rapida ricostruzione delle sequenze frazionate tramite sovrapposizione parziale di lembi consecutivi, come fossero tessere del Domino. Tale metodica apparirà sicuramente più rapida ma anche meno precisa, fu dunque inevitabile contrapporre ed emulsionare i dati ottenuti dalle due differenti metodologie.
Il risultato sarà sorprendente, mostrerà innanzitutto che le stime teoriche dei genetisti erano errate, verrà evidenziata infatti la presenza di 28.000-30.000 geni contro i presunti 100.000. Ciò significava che una grande parte del DNA umano (95%) era spazzatura, junk DNA, cioè non codificante per nessuna proteina costituente dell’organismo. Oggi appare evidente come quella “spazzatura” in realtà abbia un ruolo ed anche molto importante: telomeri, introni, trasposoni, sequenze regolatrici. Saranno proprio lo studio di queste porzioni di DNA non codificante i nuovi campi di ricerca dopo il Progetto Genoma Umano. La grande eredità non consiste però solamente nei numerosi settori d’applicazioni ma dall’inaugurazione di un nuovo modo di svolgere la ricerca biologia: da scienza “individualista” a sforzo collettivo.
Il programma doveva durare la bellezza di 25 anni, terminare cioè nel 2005. Il traguardo verrà segnato pochi anni prima, nel 2003, ma il lavoro più duro, come testimoniano proprio le riviste Science e Nature, terminò precisamente 20 anni fa, realizzando una impresa che fino a pochi anni prima sembrava impossibile.
Comparso su Agenzia Eventi